locali chiusi a Taranto

C’è un rimedio alla crisi del commercio di vicinato?

Gaspare RessaTerritorio Leave a Comment

Introduzione

La città di Taranto sta vivendo una profonda crisi del commercio locale, testimoniata da dati allarmanti. Secondo Confcommercio, tra il 2012 e il 2024 si è registrato un calo di quasi un quarto delle attività commerciali: in particolare Taranto ha perso il 22,8% dei negozi, uno dei cali peggiori in Puglia (solo Foggia fa peggio con -25,5%) (La profonda crisi dei negozi di vicinato – Corriere di Taranto).

Questa “desertificazione” è evidente passeggiando per le vie tradizionalmente commerciali, dove sempre più vetrine rimangono vuote e saracinesche abbassate. Il fenomeno ha implicazioni economiche e sociali gravi: meno negozi significano meno servizi di prossimità per i residenti, perdita di posti di lavoro e spazi urbani meno vivi e sicuri. Di fronte a numeri così impietosi, è indispensabile analizzare le cause di questo declino e individuare soluzioni concrete per invertire la rotta.

Portata della crisi commerciale a Taranto

Le statistiche di Confcommercio delineano un quadro drammatico: in dodici anni Taranto ha visto scomparire oltre un negozio su cinque.

Questo dato locale si inserisce in una tendenza nazionale di contrazione del commercio al dettaglio, dovuta in parte all’evoluzione delle abitudini di consumo e alla concorrenza di nuovi canali. A livello italiano, infatti, tra 2012 e 2024 hanno chiuso quasi 118 mila negozi tradizionali (-21,4%). Taranto risente di queste dinamiche generali, ma presenta anche criticità specifiche che ne hanno aggravato la situazione. Nel capoluogo ionico, molti negozi storici di vicinato hanno cessato l’attività, lasciando intere strade – persino nel Borgo umbertino, un tempo cuore commerciale della città – costellate di serrande abbassate.

Anche la Città Vecchia di Taranto, già segnata da decenni di declino demografico e urbano, fatica a trattenere attività economiche stabili, nonostante una maggiore vivacità imprenditoriale soprattutto nel campo della ristorazione. Il risultato è un circolo vizioso: la chiusura dei negozi impoverisce la vivibilità e l’attrattività di intere aree, scoraggiando ulteriori investimenti e allontanando residenti e visitatori.

Cause principali della crisi commerciale

Le cause della crisi del commercio tarantino sono molteplici e interconnesse. Confcommercio ha descritto questo fenomeno come il risultato di una “mattanza di imprese” dovuta sia a fattori macroeconomici sia a problemi locali. Di seguito esaminiamo i fattori principali:

Concorrenza della grande distribuzione ed e-commerce

Una delle ragioni più citate è la concorrenza sempre più forte esercitata sia dalla grande distribuzione organizzata (GDO) – centri commerciali, ipermercati, outlet – sia dal commercio elettronico. Nel tarantino, l’apertura negli ultimi anni di grandi centri commerciali nell’hinterland (dove parcheggio e servizi sono abbondanti) ha sottratto clientela ai piccoli negozi di quartiere.

Allo stesso modo l’esplosione dell’e-commerce ha modificato le abitudini: molti consumatori preferiscono ordinare online prodotti (spesso a prezzi più competitivi) invece di acquistarli nei negozi sotto casa. Questa transizione digitale ha messo in crisi soprattutto le attività tradizionali meno specializzate. Inoltre, come evidenzia il presidente di Confcommercio Taranto, Leonardo Giangrande, le vendite online godono di regimi fiscali diversi e spesso più vantaggiosi rispetto al commercio tradizionale, creando uno svantaggio competitivo per i negozianti locali. In sintesi, i negozi di Taranto si trovano stretti tra i colossi della GDO (che attraggono per assortimento e comodità) e i marketplace digitali, perdendo quote di mercato soprattutto nei settori merceologici generalisti.

Aumento dei costi, inflazione e caro vita

Un altro fattore determinante è l’aumento dei costi di gestione delle attività commerciali, in un contesto di generale caro-vita. Negli ultimi anni i negozianti hanno dovuto far fronte a bollette energetiche in forte crescita, all’aumento del costo degli affitti commerciali e a rincari delle materie prime e dei prodotti da rivendere. L’inflazione elevata ha eroso i margini dei commercianti, costringendoli spesso ad alzare i prezzi verso il pubblico.

Ciò si è scontrato con la ridotta capacità di spesa della popolazione locale: Taranto soffre infatti di un reddito pro capite inferiore alla media, con livelli di disoccupazione storicamente alti, il che significa consumatori con meno disponibilità economica. Il caro vita – ovvero l’aumento generale dei prezzi al consumo, specialmente per beni essenziali come energia e alimentari – ha obbligato molte famiglie tarantine a ridurre le spese voluttuarie (abbigliamento, ristorazione, arredo, etc.), colpendo in pieno le vendite dei negozi.

In breve, i costi per tenere aperta un’attività sono aumentati (luce, riscaldamento, tasse locali, fornitori), mentre il potere d’acquisto dei clienti è diminuito: una combinazione letale per la sostenibilità di tante piccole imprese commerciali.

Scarsa attrattività urbana, parcheggi e trasporti carenti

Accanto ai fattori economici, pesano anche le criticità locali dell’ambiente urbano di Taranto, che rendono meno appetibile fare shopping in città. Un tema ricorrente è la carenza di parcheggi e le difficoltà di accesso al centro: il Borgo tarantino e le vie commerciali non dispongono di adeguate aree di sosta, e il traffico congestionato scoraggia chi vorrebbe raggiungere i negozi con la propria auto. Molti cittadini preferiscono dunque recarsi nei centri commerciali periferici, dove parcheggiare è semplice e gratuito, oppure rinunciano agli acquisti non essenziali. Anche i trasporti pubblici risultano insufficienti a collegare bene i quartieri e l’hinterland con le zone dello shopping, limitando l’afflusso di potenziali clienti (soprattutto anziani o giovani senza auto). Un altro fattore è la poca attrattività estetica e funzionale di alcune aree commerciali: le vie del Borgo un tempo eleganti oggi appaiono spente, con arredi urbani datati, scarsa manutenzione e molte vetrine vuote.

In Città Vecchia la situazione è ancor più difficile: nonostante qualche intervento di recupero (come il rifacimento di Via Duomo), gran parte dell’isola è percepita come degradata, con edifici fatiscenti e pochi servizi, il che tiene lontani investitori e visitatori. Inoltre, vi è una percezione diffusa di insicurezza in alcune zone del centro – specialmente la sera – dovuta a episodi di microcriminalità e all’assenza di vita sociale dopo l’orario di chiusura degli uffici.

Tutti questi elementi territoriali hanno contribuito a spostare altrove le abitudini di consumo: le famiglie tarantine tendono a fare spesa grossa negli ipermercati fuori città e i giovani preferiscono luoghi più animati (o lo shopping online), lasciando le vie tradizionali prive di movimento.

Mancanza di visione politica e fondi pubblici non spesi

A rendere ancor più grave la crisi, secondo molti osservatori, è stata la carenza di strategia e interventi efficaci da parte delle istituzioni locali.

Taranto sconta l’assenza, negli ultimi anni, di una visione di sviluppo condivisa e di una pianificazione capace di fronteggiare le trasformazioni in atto. Il presidente di Confcommercio Taranto ha denunciato apertamente che è mancata una classe politica autorevole, in grado di rendere il territorio appetibile per investimenti, migliorare i servizi e diversificare l’economia.

In questo contesto, colpisce negativamente il destino di ingenti fondi pubblici stanziati per Taranto ma non spesi o attuati con estrema lentezza. Un esempio emblematico è il Contratto Istituzionale di Sviluppo (CIS) per Taranto: un pacchetto di finanziamenti statali di oltre 1 miliardo di euro destinato a 40 progetti di riqualificazione e riconversione. Eppure, nonostante l’enorme potenziale, questi fondi hanno prodotto pochi risultati tangibili finora. L’ultima riunione del Tavolo CIS risale al 2022 e solo circa il 26% dei progetti previsti era stato effettivamente completato a quella data (Taranto: una cabina di regia per gestire Pnrr, Cis e gli altri fondi).

Lo stesso Giangrande ha lanciato un monito: “Tutti si riempiono la bocca con questa pioggia di risorse. Il miliardo di euro del CIS che fine ha fatto?”. La mancanza di utilizzo tempestivo di risorse già disponibili indica problemi di programmazione e gestione: si rischia di perdere opportunità preziose per rigenerare aree urbane, creare infrastrutture e sostenere nuove attività (ad esempio proprio nel centro storico).

In sintesi, la crisi commerciale tarantina non è solo frutto del mercato, ma anche di vuoti decisionali: sono mancati interventi coordinati per rivitalizzare i quartieri, politiche di incentivo per i negozi di vicinato, e un’efficace cabina di regia per spendere i fondi anti-declino. Questa assenza di governance ha lasciato i piccoli imprenditori soli ad affrontare cambiamenti epocali.

Soluzioni immediatamente praticabili per il rilancio

Di fronte a un quadro così critico, è necessario mettere in campo un mix di soluzioni immediate e realistiche per rilanciare le aree commerciali dismesse di Taranto, in particolare nel Borgo e nella Città Vecchia. L’obiettivo è duplice: da un lato ridare vita e attrattività ai quartieri svuotati, dall’altro favorire nuova occupazione giovanile per arginare la fuga di talenti verso il Nord o l’estero. Le proposte che seguono mirano ad essere concrete e attuabili anche in assenza di forti supporti politici, facendo leva su iniziative dal basso, incentivi mirati e partnership tra attori locali. Si tratta di misure che puntano a migliorare da subito la qualità della vita urbana e a creare un terreno fertile per nuove attività economiche.

Incentivi fiscali e sostegno alle nuove imprese

Una prima leva d’azione consiste nel ridurre la pressione fiscale locale per chi apre o mantiene un’attività commerciale nelle zone in difficoltà. Confcommercio Taranto ha proposto, ad esempio, una detassazione per i primi tre anni a favore di chi abbia “ancora voglia di investire” aprendo un negozio in città.

Questo potrebbe tradursi in esenzioni o forti riduzioni di tributi comunali (come TARI sui rifiuti, COSAP per l’occupazione di suolo pubblico, addizionali locali) e canoni per i servizi, per le nuove attività avviate nel Borgo e in Città Vecchia. Ridurre i costi fissi nei primi anni aiuterebbe i giovani imprenditori a superare la fase di avvio, notoriamente la più rischiosa. Misure simili sono già state adottate altrove in Italia: ad esempio, alcuni Comuni hanno istituito “zone franche urbane” con agevolazioni fiscali totali o parziali per chi investe in quartieri degradati. Taranto potrebbe cercare di attivare strumenti analoghi, anche sfruttando fondi regionali o nazionali.

Inoltre, andrebbe valutata una riduzione dell’IMU per i proprietari che affittano locali commerciali sfitti a nuove attività a canone calmierato: in questo modo si incentiva anche i proprietari ad abbassare gli affitti (uno dei freni alle aperture, spesso giudicati troppo elevati rispetto al mercato). Un esempio virtuoso viene dal comune di Treviso, che ha deliberato il passaggio dell’IMU dal 10,6‰ al 10,2‰ per i locali sfitti che vengono locati nell’ambito di un progetto di rivitalizzazione (Accordo tra Comune, Confcommercio e Confedilizia per il rilancio dei negozi sfitti a Treviso).

In parallelo, si potrebbero offrire contributi a fondo perduto o crediti d’imposta per le micro-imprese commerciali che aprono nei quartieri bersaglio, magari attingendo a programmi regionali per lo sviluppo urbano. Tali incentivi abbatterebbero le barriere d’ingresso, rendendo più conveniente aprire un negozio a Taranto nonostante le difficoltà attuali. Ovviamente, la leva fiscale funziona se inserita in una visione più ampia: servirebbe indirizzarla verso settori strategici (ad esempio artigianato locale, filiere corte agroalimentari, commercio di vicinato innovativo) in modo da non solo riempire spazi vuoti, ma creare attività sostenibili nel medio termine.

In ogni caso, alleggerire il carico fiscale darebbe un segnale immediato di attenzione ai piccoli imprenditori, mostrando che la città vuole concretamente evitare di perdere il suo tessuto commerciale.

Riuso temporaneo di locali chiusi e modelli innovativi

Un secondo ambito di intervento, a basso costo e alto impatto, è il riuso temporaneo o sociale dei tanti locali chiusi. Invece di lasciare le vetrine sbarrate, si possono sperimentare formule flessibili: temporary shop, laboratori pop-up, mostre, mercatini ed eventi negli spazi sfitti.

Questo approccio consente di rivitalizzare subito le strade, anche senza attendere investimenti permanenti. L’idea è di facilitare l’utilizzo di un locale per periodi brevi (da pochi giorni fino a 12-18 mesi) con procedure semplificate.

Un modello da imitare è quello attuato alla già citata città di Treviso, dove amministrazione, Confcommercio e Confedilizia hanno siglato un accordo per popolare i negozi sfitti tramite Temporary Store: aspiranti commercianti o artigiani possono provare l’attività sul campo per un periodo limitato (ad esempio 6, 12 o 18 mesi) senza doversi impegnare da subito in un oneroso contratto d’affitto commerciale 6+6. “Temporaneo non significa provvisorio – spiega il presidente di Confcommercio Treviso – significa dare la possibilità di sperimentare l’attività e potersi consolidare”. In pratica, a Treviso si offre un pacchetto chiavi in mano con varie agevolazioni per avviare un negozio pop-up: allacciamento delle utenze rapide e a tariffe calmierate, assistenza burocratica per le pratiche SCIA, polizze assicurative temporanee e perfino una fideiussione a garanzia per il proprietario. Il Comune dal canto suo concede piccoli incentivi fiscali e mette a disposizione eventuali locali di sua proprietà inutilizzati.

Un elemento interessante è la collaborazione con eventi culturali: a Treviso i negozi sfitti aderenti espongono sulla vetrina il simbolo di una lampadina creativa (realizzato dal locale Comic Book Festival), segnalando ai passanti che lì potrebbe nascere qualcosa di nuovo.

Taranto potrebbe replicare questo modello di “pop-up district” nel Borgo: Confcommercio Taranto, Confedilizia (che rappresenta i proprietari immobiliari) e il Comune potrebbero accordarsi per facilitare contratti di affitto temporaneo standardizzati, con canoni simbolici o indicizzati al fatturato, e burocrazia snella. In parallelo, si potrebbero organizzare iniziative per riempire temporaneamente i vuoti urbani: ad esempio, allestire nei locali sfitti delle vetrine tematiche (mostre fotografiche sulla Taranto storica, esposizioni di artigianato locale, info-point turistici) così da renderle comunque spazi fruibili e attrattivi per chi passeggia.

Esistono anche modelli di riuso a fini sociali: dare in comodato d’uso gratuito alcuni spazi inutilizzati ad associazioni giovanili, cooperative sociali o start-up culturali, affinché ne facciano centri di aggregazione, piccoli atelier, punti lettura o laboratori didattici aperti al quartiere. Ciò contribuirebbe a portare vita e presidio anche in zone altrimenti deserte, con beneficio per la sicurezza percepita.

In sintesi, il riuso temporaneo offre una soluzione win-win: i proprietari vedono valorizzati (e mantenuti in ordine) i propri immobili, i giovani imprenditori possono testare idee con rischi contenuti, la città ritrova vetrine illuminate e attività, anche se sperimentali. Se l’esperimento funziona, molti temporary shop potranno convertirsi in attività stabili; se non funziona, almeno nel frattempo quelle saracinesche avranno contribuito a animare la strada invece di essere simboli di declino.

Hub per artigianato, digitale e coworking

Un’altra soluzione immediata è ripensare le destinazioni d’uso dei locali dismessi, creando spazi innovativi che generino nuova frequentazione. Non tutti gli spazi vuoti torneranno ad essere negozi tradizionali: alcune vie potrebbero rinascere ospitando laboratori artigianali, hub digitali e co-working.

Taranto possiede un patrimonio di saper fare locale (dalla ceramica di Grottaglie, alla tradizione di oreficeria del corallo, all’enogastronomia specializzata principalmente sul mare e i suoi prodotti) che potrebbe esprimersi in botteghe artigiane aperte al pubblico, magari gestite da giovani in collaborazione con maestri artigiani.

Immaginare una “via degli artigiani” in Città Vecchia, con piccole botteghe o showroom nei bassi ristrutturati, darebbe un’identità attrattiva al quartiere e interesserebbe anche i turisti in cerca di prodotti tipici. Allo stesso tempo, la città potrebbe puntare sul futuro riconvertendo alcuni spazi in incubatori di start-up e coworking per professionisti locali: creare ambienti condivisi dove giovani imprenditori, freelance del digitale, designer e sviluppatori possano lavorare, scambiarsi idee e magari avviare imprese innovative legate al territorio.

Questo tipo di hub non solo riempie fisicamente immobili vuoti, ma crea comunità e trattiene talenti: chi ha competenze potrebbe valutare di restare a Taranto se trova un contesto collaborativo e stimolante, anziché trasferirsi altrove.

Esempi concreti già esistono: nel cuore della Città Vecchia è nato Palazzo Ulmo, un co-working e centro culturale ospitato in uno storico palazzo del ‘700 rigenerato da un team di giovani. Allo stesso modo, in Puglia iniziative dal basso hanno trasformato edifici abbandonati in vivaci centri creativi: a Gravina in Puglia un ex mercato coperto mai utilizzato, grazie al sostegno della Regione, è diventato un luogo di aggregazione e produzione artistica frequentato da giovani, con concerti, rassegne cinematografiche e attività culturali per tutte le età (Quando la rigenerazione urbana passa anche da Erasmus+ – Agenzia Italiana per la Gioventù).

Taranto può ispirarsi a queste best practice: ad esempio, recuperare uno stabile comunale inutilizzato nel Borgo (o un’ala di esso) e attrezzarlo come “Taranto Digital Hub”, coinvolgendo l’Università (Politecnico di Bari, sede di Taranto) per dare consulenza e la Camera di Commercio per supporto logistico.

Oppure lanciare un progetto “Botteghe Aperte” in Città Vecchia: concedere in uso agevolato alcuni locali ristrutturati (magari quelli oggetto di interventi con fondi CIS o regionali) ad artigiani, maker o cooperative di giovani, che li trasformino in piccoli laboratori visitabili. Questi poli, oltre a creare occupazione diretta, hanno un effetto volano: attirano frequentatori (studenti, professionisti, appassionati) che poi utilizzano bar, ristoranti e altri servizi in zona, innestando un nuovo circuito economico.

È importante sottolineare che tali iniziative non richiedono necessariamente grandi risorse pubbliche immediate: spesso è sufficiente facilitare le procedure, offrire spazi in comodato e mettere in rete gli attori giusti (giovani, associazioni, enti formativi, investitori locali). In un contesto di scarsi investimenti pubblici, sfruttare l’energia creativa dal basso e la collaborazione pubblico-privato può rigenerare pezzi di città in tempi rapidi.

Migliorare vivibilità e attrattività urbana

Accanto a misure economiche e progetti innovativi, vi sono interventi “soft” ma essenziali per rendere le aree commerciali più accoglienti e fruibili nel quotidiano. La prima è garantire un decoro urbano e sicurezza visibile: strade pulite, illuminate, con meno segni di abbandono.

Ad esempio, organizzare campagne di pulizia straordinarie e manutenzione nel Borgo e in Città Vecchia, magari coinvolgendo volontari e residenti (iniziative di cittadinanza attiva), per rimuovere rifiuti, graffiti vandalici e erbacce, sollecitando nei limiti del possibile una presenza più strutturata da parte di Kyma Ambiente.

Installare nuova illuminazione pubblica nelle vie buie e sistemi di video-sorveglianza nei punti critici, combattendo anche il fastidioso fenomeno dei parcheggiatori abusivi, potrebbe migliorare la percezione di sicurezza, incoraggiando le persone a frequentare il centro anche dopo il tramonto.

Un altro passo è intervenire sulla mobilità e i parcheggi: nell’immediato, il Comune potrebbe individuare aree dove creare parcheggi di superficie temporanei o park & ride con navette, così da agevolare l’accesso al centro storico senza congestionarlo. Si potrebbero istituire servizi di navetta elettrica dal perimetro del Borgo fin dentro le vie commerciali, gratuiti o a basso costo, per collegare i parcheggi e le zone di interesse (specialmente durante i fine settimana o i periodi di saldi/natalizi). Andrebbe inoltre concordato con la Marina Militare l’uso delle grandi aree adibite a parcheggio non solo in momenti specifici, ma per tutto l’anno (Caserma Mezzacapo e Banchina Torpediniere) darebbe ulteriori grossi vantaggi.

Dal punto di vista dell’attrattività, molto si può fare con eventi e animazione urbana: organizzare periodicamente fiere, mercatini, manifestazioni culturali nelle strade del Borgo e dell’isola antica. Un calendario di piccoli eventi (es. mercatino dell’antiquariato mensile, festa del cioccolato, notte bianca dello shopping, visite guidate teatralizzate in Città Vecchia) porterebbe gente in zona, facendo da volano anche per i commercianti (che potrebbero restare aperti in orari serali speciali).

Tali eventi possono essere promossi dalle associazioni di categoria insieme a quelle culturali, con patrocinio leggero del Comune. L’idea è di creare motivo di visita al di là delle normali esigenze d’acquisto: far riscoprire ai tarantini il piacere di passeggiare nel centro cittadino, unendo lo shopping a momenti di svago. Anche l’aspetto estetico conta: si potrebbero lanciare concorsi o iniziative per abbellire le vetrine vuote (ad esempio studenti del liceo artistico potrebbero dipingere murales temporanei o creare installazioni creative dietro le vetrine inutilizzate, trasformandole in gallerie d’arte a cielo aperto).

Infine, la collaborazione comunitaria è fondamentale: incoraggiare i commercianti rimasti a consorziarsi in centri commerciali naturali, coordinandosi su orari, promozioni comuni, gestione di servizi condivisi (es. consegna a domicilio di quartiere, fidelity card di quartiere). Se anche la politica locale è debole, la forza collettiva dei piccoli operatori uniti può supplire, presentando progetti unitari e dialogando con altri soggetti (come le scuole, per adottare una strada; le parrocchie, per organizzare momenti di socialità nelle piazze; ecc.).

In definitiva, migliorare vivibilità e attrattività non richiede miracoli: molte azioni sono di buon senso e basso costo, ma vanno coordinate e portate avanti con costanza, per ricostruire attorno ai negozi un ambiente urbano piacevole dove le persone abbiano voglia di trascorrere il proprio tempo.

Attori coinvolgibili e governance dal basso

Poiché non possiamo attendere soluzioni calate dall’alto, è importante attivare sin da subito una rete di attori locali che prenda in mano il rilancio commerciale.

In primis le associazioni di categoria (Confcommercio, Confesercenti, CNA, etc.) possono fungere da motore: ad esempio Confcommercio Taranto ha già elaborato 38 proposte per la rigenerazione urbana attraverso il progetto “Cities”, e può coordinarsi con le altre sigle per presentare un piano condiviso.

Al tavolo devono sedere anche i proprietari degli immobili (rappresentati da Confedilizia): la loro collaborazione è cruciale per attuare misure come affitti calmierati o temporanei. Ci sono poi gli enti intermedi: la Camera di Commercio Taranto-Brindisi si è già detta disponibile a sostenere attivamente queste iniziative, e potrebbe fornire assistenza tecnica, formazione e connessione col sistema creditizio locale.

Le associazioni di residenti e comitati di quartiere del Borgo e della Città Vecchia vanno coinvolti per capire i bisogni del territorio e co-progettare eventi o usi sociali degli spazi. Un ruolo lo hanno anche le istituzioni educative e culturali presenti: l’Università (Politecnico), le scuole, i centri di formazione potrebbero contribuire con idee (es. progetti di riqualificazione sviluppati dagli studenti) e con la partecipazione degli studenti stessi ad attività di animazione urbana.

Nonostante la politica sia debole, è comunque auspicabile che il Comune di Taranto sia almeno un facilitatore, non appena si saranno svolte le Elezioni Comunali: ad esempio potrebbe istituire una cabina di regia snella per il commercio urbano, coinvolgendo questi attori e monitorando i progressi. In mancanza di forti indirizzi politici, questa governance “dal basso” e multi-attore diventa la chiave: creare una coalizione locale per il rilancio, che condivida obiettivi (ridare vita ai quartieri storici, creare lavoro per i giovani) e metta insieme risorse e competenze diverse.

Una struttura già esistente su cui appoggiarsi è il Distretto Urbano del Commercio (DUC) di Taranto, che nel 2025 si sta finalmente riattivando dopo un periodo di stasi. Il DUC, se ben gestito, può essere lo strumento di coordinamento: include Comune e associazioni di categoria e ha accesso a finanziamenti regionali dedicati ai centri urbani. In sede DUC si potrebbero quindi canalizzare i vari progetti (dai temporary shop agli eventi in quartiere), evitando dispersione di energie.

In definitiva, gli attori ci sono e molti hanno già manifestato volontà di fare: la prima azione da fare è metterli attorno a un tavolo operativo e passare dalle analisi ai progetti pilota sul campo.

Primi step operativi

Di seguito alcuni passi concreti e immediati che Taranto può intraprendere per avviare il percorso di rilancio:

  1. Mappatura e disponibilità spazi sfitti: creare un inventario dettagliato dei locali commerciali vuoti nel Borgo e in Città Vecchia (dimensioni, proprietà, stato) e verificare quali proprietari sono disponibili a partecipare a progetti di riuso temporaneo o locazione agevolata.
  2. Tavolo di coordinamento locale: convocare un incontro tra Comune (commissario o dirigenti competenti), associazioni di categoria (Confcommercio, ecc.), Confedilizia, Camera di Commercio e rappresentanti dei residenti per definire un piano d’azione a 6-12 mesi. Formalizzare magari questo gruppo come comitato del Distretto Urbano del Commercio rivitalizzato.
  3. Progetto pilota “Taranto Pop-Up”: lanciare un’iniziativa pilota in una via simbolica (es. via Di Palma o via Duomo) selezionando 5-10 locali chiusi da riaprire come temporary shop o spazi creativi. Preparare un bando semplice per raccogliere idee da aspiranti commercianti, start-up o associazioni interessate a occupare quei locali per 6-12 mesi a canone simbolico.
  4. Incentivi comunali immediati: adottare in Consiglio Comunale (o tramite commissario prefettizio se applicabile) una delibera che preveda l’esenzione o riduzione di tasse locali per nuove aperture nel centro storico, e la riduzione IMU per i proprietari che aderiscono al progetto Taranto Pop-Up affittando a canone ridotto. Contestualmente, semplificare per via amministrativa le procedure (SUAP) per aperture temporanee.
  5. Campagna di promozione e coinvolgimento: avviare una campagna pubblica dal titolo, ad esempio, “Riaccendiamo Taranto”, per informare e coinvolgere la cittadinanza. Pubblicizzare gli spazi disponibili e le opportunità per i giovani che vogliono fare impresa a Taranto (anche tramite i social e incontri nei quartieri). Sensibilizzare anche gli attori culturali a proporre eventi nelle zone interessate.
  6. Eventi e mercatini sperimentali: calendarizzare già nei prossimi mesi alcuni eventi di richiamo nel Borgo/Città Vecchia (ad es. un mercato straordinario di prodotti tipici, una festa patronale nel centro storico, esibizioni di artisti di strada nel weekend) per iniziare a riportare pubblico e testare la risposta.
  7. Monitoraggio e aggiustamenti: dopo i primi 3-6 mesi, valutare i risultati del progetto pilota (quanti spazi attivati, affluenza pubblico, feedback di esercenti e residenti) e apportare eventuali correzioni o estensioni dell’iniziativa ad altre strade o rioni.

Questi step permetterebbero di passare rapidamente dalla teoria all’azione, con interventi visibili che possano generare fiducia. Anche senza “bacchette magiche”, darebbero un segnale concreto che Taranto non si arrende alla desertificazione commerciale, ma anzi reagisce mobilitando le proprie risorse interne.

Opportunità offerte dai Giochi del Mediterraneo 2026

L’orizzonte dei Giochi del Mediterraneo del 2026, che Taranto ospiterà nell’estate di quell’anno, rappresenta un’occasione irripetibile per catalizzare investimenti e attivare nuovi circuiti economici e sociali.

Questo grande evento sportivo internazionale porterà in città migliaia di visitatori tra atleti, staff, delegazioni e pubblico: si stimano 4.500 atleti e circa 2.000 addetti ai lavori solo come partecipanti ufficiali (A Taranto Giochi del Mediterraneo 2026 e accoglienza turistica, Cesareo: «Coinvolgere il territorio» – La Gazzetta del Mezzogiorno), a cui si aggiungeranno spettatori, turisti e media.

La sfida è fare in modo che i Giochi non rimangano un episodio isolato, ma funzionino da volano per lo sviluppo locale, lasciando una legacy positiva in termini di infrastrutture, turismo e commercio.

Investimenti infrastrutturali e rigenerazione urbana accelerata

In vista del 2026, Taranto ha l’opportunità di accelerare opere e progetti rimasti finora sulla carta, sfruttando la scadenza ravvicinata come stimolo. Già diversi interventi di riqualificazione urbana sono stati programmati attingendo a fondi CIS, PNRR e regionali (dal restyling di Piazza Castello (Notizie: Opere – Comune di Taranto) alla riqualificazione degli ipogei e di palazzi storici): i Giochi possono fungere da deadline vincolante per completarli in tempo utile, conferendo un nuovo volto alla città proprio quando sarà sotto i riflettori internazionali.

In particolare, andrebbero prioritari i progetti che incidono sulle aree strategiche per l’evento e per il turismo: ad esempio il rifacimento del waterfront della Città Vecchia, il recupero di edifici nel borgo antico da destinare a musei o centri culturali, il restauro di monumenti chiave (come il ponte girevole e il Castello Aragonese) in modo da presentarli al meglio ai visitatori del 2026.

Il Contratto Istituzionale di Sviluppo (CIS) e altri fondi potrebbero essere riallocati o spinti nella realizzazione concreta di interventi mirati prima dei Giochi. Come rilevato, una parte consistente di quei finanziamenti è ancora non spesa: l’evento fornisce l’urgenza e la giustificazione ideale per sbloccarli e cantierare opere utili. Un esempio: la realizzazione di un percorso pedonale attrezzato che colleghi le principali sedi di gara con il centro cittadino e la Città Vecchia, così da integrare la fruizione sportiva con quella turistica (un progetto del genere, se pianificato ora, potrebbe ottenere finanziamenti speciali legati ai Giochi). Inoltre, infrastrutture sportive nuove o rinnovate (stadi, piscine, palazzetti) dovranno essere pensate anche per l’uso post-evento, in modo da divenire spazi polifunzionali che possano ospitare fiere, concerti, eventi culturali e sportivi locali negli anni successivi – creando quindi indotto continuo per il commercio e l’occupazione (basti pensare a palazzetti che, terminati i Giochi, diventino arene per spettacoli e richiamino pubblico in città).

L’esperienza insegna che grandi eventi come questo possono lasciare due tipi di eredità: “cattedrali nel deserto” oppure nuovi poli di attrazione. Taranto deve lavorare perché sia valida la seconda ipotesi, inserendo sin d’ora nei piani di investimento clausole e progetti per il riuso adattivo degli impianti e per la rigenerazione dei quartieri ospitanti.

Coinvolgimento del tessuto economico locale nei Giochi

Un punto cruciale è fare in modo che il sistema delle imprese locali tragga beneficio diretto dai Giochi del Mediterraneo. Questo significa coinvolgere fin d’ora commercianti, artigiani, ristoratori, albergatori e servizi nelle iniziative connesse all’evento. Un’iniziativa interessante in tal senso è il programma denominato “Mare Nostrum” proposto in ambito DUC Taranto: esso prevede di coinvolgere gli esercenti cittadini permettendo loro di vendere i biglietti delle competizioni sportive (offrendo magari sconti a chi li acquista nei negozi) e di promuovere i prodotti degli sponsor ufficiali dei Giochi (Taranto, il Distretto Urbano del Commercio verso la riattivazione – Pugliapress – Notizie della Puglia).

In pratica, il piccolo commercio diventerebbe parte integrante del circuito promozionale dell’evento: ad esempio un negozio di articoli sportivi o un bar potrebbe fungere da punto vendita autorizzato di ticket, attirando così appassionati che poi acquistano anche altro.

Questa sinergia aiuterebbe a portare più clientela nei negozi durante il periodo pre-evento e nei giorni delle gare. Si possono immaginare anche iniziative come il brand dei Giochi diffuso nei locali: vetrine decorate a tema mediterraneo, sconti speciali per gli accreditati ai Giochi, menu “Taranto 2026” nei ristoranti con piatti tipici pensati per l’occasione, ecc. La Camera di Commercio ha sottolineato la necessità di attivare un coordinamento per l’offerta ricettiva e i servizi collegati, in modo che non siano solo le navi da crociera a ospitare partecipanti, ma che l’intero territorio sia parte dell’accoglienza.

Il presidente camerale Cesareo ha proposto di creare un Centro di coordinamento tra tutte le associazioni di categoria del turismo e commercio, per mettere a sistema le migliori soluzioni di ospitalità e promozione territoriale in vista dei Giochi. Ciò potrebbe tradursi, ad esempio, in un portale unico dove i visitatori possono prenotare non solo hotel/B&B ma anche esperienze (cene tipiche, tour guidati, shopping tour) offerte da operatori locali, garantendo così che la spesa dei turisti rimanga in buona parte sul territorio.

Anche i produttori locali dovrebbero essere coinvolti: i Giochi possono diventare vetrina per i prodotti agroalimentari ionici (olio, vino, prodotti del mare) e per l’artigianato (ceramiche, manufatti), magari tramite l’allestimento di stand o mercatini tematici nelle fan zone dell’evento. L’organizzazione di un mercato mediterraneo parallelo alle gare, dove ogni sera in un’area dedicata (ad esempio sul lungomare o in Piazza Garibaldi) si tengono esposizioni di prodotti tipici e spettacoli culturali, darebbe modo alle imprese tarantine di intercettare i flussi di visitatori e creare circuiti economici temporanei ma significativi.

In sostanza, l’evento sportivo deve diventare anche un evento commerciale e culturale per Taranto: i turisti che verranno per seguire le competizioni dovrebbero essere invogliati a scoprire la città nei momenti liberi, visitando musei (MARTA, Castello), facendo shopping e provando la gastronomia locale. Per ottenere ciò serve preparazione: ad esempio, organizzare corsi brevi di inglese e customer care per commercianti e ristoratori, così da migliorare l’accoglienza; predisporre mappe e segnaletica in più lingue che guidino dagli impianti sportivi alle zone commerciali; tenere aperti musei e negozi con orari prolungati durante i Giochi. Tutti dettagli che richiedono coordinamento, ma che massimizzano l’impatto positivo dell’evento sul tessuto socio-economico.

Promozione turistica e culturale integrata

I Giochi del 2026 offrono a Taranto anche una straordinaria opportunità di promozione della propria immagine nel Mediterraneo e in Europa. Dovrebbero dunque essere accompagnati da iniziative che evidenzino il patrimonio culturale, storico e paesaggistico tarantino, per lasciare nei visitatori un ricordo positivo e stimolare il passaparola e futuri ritorni turistici.

Si potrebbe organizzare un Festival della Cultura Mediterranea in parallelo alle gare, con mostre (ad esempio sui Giochi nell’antichità greco-romana, data la storia magnogreca di Taranto), rassegne cinematografiche, concerti di musiche mediterranee e rappresentazioni teatrali nei luoghi simbolo (come il Teatro Fusco o siti all’aperto in Città Vecchia).

Questi eventi collaterali arricchirebbero l’offerta per i visitatori, distribuendo i flussi anche al di fuori degli impianti sportivi. Una particolare attenzione va alla Città Vecchia: la sua cornice unica (vicoli, chiese romaniche, palazzi storici affacciati sul mare) potrebbe ospitare cerimonie, incontri tra atleti, visite guidate dedicate agli ospiti dei Giochi, trasformandola per due settimane in un vero “villaggio mediterraneo” aperto a tutte le culture affacciate sul Mare Nostrum. Questo aiuterebbe a consolidare la percezione della Città Vecchia come luogo di interesse internazionale, facilitando magari in futuro investimenti turistico-culturali. Importante sarà anche la comunicazione: usare i mesi precedenti all’evento per raccontare Taranto sui media, non solo per le vicende industriali o ambientali, ma per le sue bellezze e la rinascita in atto. Mostrare, ad esempio, i progetti di rigenerazione urbana, i giovani che riaprono botteghe, i preparativi della città, creerà una narrazione positiva. Si potrebbero produrre spot e contenuti social con il logo Taranto 2026 e lo slogan dei Giochi, mettendo in luce anche aspetti di vita cittadina e commerciale.

Coinvolgere influencer o testimonial (magari atleti locali o personaggi di cultura) che parlino della “nuova Taranto” aiuterebbe a sfatare stereotipi e attrarre l’attenzione di potenziali visitatori. In sintesi, i Giochi devono essere sfruttati come megafono promozionale: ogni euro investito in promozione turistica in questo frangente ha probabilmente un ritorno amplificato, perché intercetta l’interesse generato dall’evento.

Esempi concreti e attori da coinvolgere per Taranto 2026

Per assicurare che l’evento produca benefici duraturi, Taranto può ispirarsi a best practice di altre città che hanno ospitato manifestazioni similari. Ad esempio, Bari 1997 (Giochi del Mediterraneo) colse l’occasione per potenziare il proprio waterfront e costruire impianti poi utilizzati per anni da società sportive locali; Matera 2019 (Capitale Europea della Cultura) coinvolse migliaia di cittadini come volontari “ambasciatori” e vide nascere molte imprese culturali giovanili durante i preparativi.

Nel caso tarantino, si potrebbe istituire un volontariato diffuso per i Giochi, reclutando molti giovani del posto come steward, guide, interpreti: ciò creerebbe competenze (linguistiche, organizzative) e senso di appartenenza, oltre a offrire un primo impiego temporaneo a tanti ragazzi. Dal punto di vista degli attori, il Comitato Organizzatore Taranto 2026 (guidato dal Commissario straordinario nominato dal Governo) è ovviamente centrale e dovrebbe interfacciarsi costantemente con il territorio.

Le imprese locali – coordinate da Camera di Commercio e associazioni – devono avere canali aperti col Comitato per proporre e contrattualizzare servizi (catering, allestimenti, logistica, merchandising ufficiale prodotto localmente, ecc.). Anche la Regione Puglia gioca un ruolo, potendo indirizzare parte dei fondi FSC e dei programmi turistici sul 2026. Infine, la cittadinanza è parte attiva della riuscita: campagne di sensibilizzazione sul sense of community (simili a “Welcome to Taranto”) potrebbero preparare i tarantini ad accogliere con orgoglio gli ospiti internazionali, facendo sentire il calore e la cultura locale.

In concreto, un primo passo già in atto è la ricostituzione del Distretto Urbano del Commercio in chiave Giochi: la nuova governance DUC ha inserito in programma iniziative legate a Taranto 2026, come la vendita di biglietti nei negozi.

Un altro passo auspicabile, come detto, è la creazione di un coordinamento per l’ospitalità diffusa: la Camera di Commercio ha annunciato incontri con tutte le categorie del settore turismo per costituirlo.

Questo organismo potrebbe ad esempio aggregare in un unico consorzio B&B, hotel, case vacanza per gestire le prenotazioni dei visitatori dei Giochi, garantendo standard di qualità e prezzi equi, e magari lanciando un marchio tipo “Taranto Hospitality 2026”. Sul fronte commerciale, si potrebbe sviluppare un circuito di vetrine olimpiche: identificare, con l’aiuto degli sponsor, alcuni negozi del centro da allestire con temi sportivi e informazioni sulle gare, creando un percorso cittadino che unisce sport e shopping.

Gli atleti e le delegazioni potrebbero essere “adottati” da parti della città: ad esempio ogni delegazione nazionale potrebbe essere invitata a un evento in un diverso quartiere o presso un istituto scolastico, portando così i Giochi dentro la città e non solo nei luoghi di gara. Queste idee richiedono regia, ma molte possono essere attuate a costo ridotto con la buona volontà organizzativa.

In definitiva, i Giochi del Mediterraneo 2026 rappresentano per Taranto un appuntamento cruciale attorno a cui far convergere sforzi di lungo periodo. Se ben sfruttati, potranno innescare nuovi circuiti economici e sociali: pensiamo ad esempio alla nascita di itinerari turistici sportivo-culturali (tra impianti e luoghi storici), o al consolidamento di network tra imprese locali e internazionali (tramite sponsor e partner dei Giochi) che in futuro potrebbero tradursi in investimenti.

Taranto ha l’opportunità di mostrarsi al mondo non come “città in crisi” ma come città che rinasce, capace di organizzare un grande evento e al contempo di rigenerarsi a beneficio dei propri cittadini. La chiave sarà fare in modo che ogni intervento legato ai Giochi abbia un duplice scopo: servire all’evento ma anche al territorio nel lungo termine. Così, ad esempio, un nuovo percorso ciclopedonale creato per collegare i villaggi degli atleti potrà poi servire ai tarantini; un centro stampa allestito per i media potrà diventare un incubatore di imprese digitali locali; la formazione linguistica data ai volontari sarà un valore aggiunto per la forza lavoro locale. In questo modo, i Giochi diventeranno un motore di cambiamento permanente, dando concretezza a quella visione di diversificazione economica e sviluppo urbano che Taranto insegue da tempo.

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Gaspare Ressa

Statte, Taranto, Italy a Ressa Servizi SNC
Mezzo secolo di vita dal punto di vista anagrafico. Molti meno dal punto di vista mentale. Il Lego, il Subbuteo, il mare e il Calcio Napoli le passioni più grandi. Il culto del ruolo del portiere una religione pagana. Su Ressa.it condivido le mie idee sul marketing (preferibilmente locale) e sul webmarketing.

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